Gli illuminati nella società umana

Pubblichiamo qui la recensione di un libro che molto ha a che fare col Martinismo e solo indirettamente con la Massoneria. Crediamo però che sia utile ai Fratelli, sia per i suoi contenuti di saggezza universale, sia per la parentela stretta tra la dottrina del Saint-Martin (autore del libro) e quella del Willermoz, che fu fondatore del Rito Scozzese Rettificato.

Tra i grandi pensatori cristiani del XVIII secolo si può annoverare senza dubbio Louis Claude de Saint-Martin. Tra le sue opere più famose possiamo citare “L’uomo di desiderio”, o “Ecce homo”. Pochi però conosceranno, probabilmente, “Gli illuminati nella società umana”, opera “minore” del Filosofo Incognito (così era conosciuto l’autore) riguardante la società e le sue istituzioni.

Il periodo in cui visse l’autore fu uno dei più turbolenti sul fronte politico per la Francia e per l’Europa. Il Saint-Martin fu testimone, infatti, della rivoluzione francese e attento osservatore dei fatti e delle idee a essa legati.

Nel suo breve trattato egli affronta un tema fondamentale: il principio base che regge ogni umana associazione. Partendo in gran parte dalla critica alle tesi sul “contratto sociale” di Jean Jacques Rousseau, egli dimostra che alla base di tutto c’è quel principio divino da cui l’Uomo si è distaccato e cui deve tendere nella sua vita, allo scopo di reintegrarsi con Lui e in Lui. Il contratto sociale così come Rousseau l’intende non può, per il Filosofo Incognito, sussistere. Esso infatti manca della forza vitale che solo il ricordo della Grazia perduta può infondere. È assurdo pensare che la società sia nata da uomini selvaggi e animaleschi, solitari nelle loro abitudini di vita e soggetti a ogni legge della natura, allo scopo di avere maggiori vantaggi pratici rinunciando a parte della propria libertà. Un simile pensiero è puramente astratto, privo di fondamento nella realtà. Inoltre è lo spirito a guidare l’uomo verso il progresso sociale e verso il bene e non certo l’utilità materiale. E l’approccio materialista di molti suoi contemporanei è aspramente criticato e visto come frutto della degenerazione dell’essere umano dal suo stato naturale di uomo-spirito:

Senza preoccuparsi di sapere se l’uomo sonnecchia o meno in un abisso, essi hanno scambiato le agitazioni convulsive della sua situazione dolorosa per i movimenti naturali di un corpo sano che gode liberamente di tutti i principi della sua vita: ed è con questi elementi caduchi e tarati che hanno voluto formare l’associazione umana e costituire l’ordine politico.[1]

Il governo di un paese non può essere quindi materialista e improntato al banale e basso interesse materiale se si vuole che esso agisca secondo giustizia e per il bene degli uomini. Il buon governo non potrà che essere teocratico. Non si fraintenda, però, questo termine che il Saint-Martin, come si evince dalla lettura, non intende come forma di governo basata su una particolare religione e sulle sue leggi morali specifiche. Allo stesso modo egli non potrebbe essere più lontano dal volere un regime ierocratico (un “governo dei preti”). Per governo teocratico, egli intende un governo guidato dai veri principi spirituali, un governo di uomini che tendano alla reintegrazione dell’Uomo nel suo stato iniziale e che traggano quindi l’ispirazione delle proprie azioni e delle proprie idee dal Principio Primo stesso. Solo in questo modo il governo potrà davvero tendere al bene e promulgare leggi dal valore universale.

Quale che sia la nostra opinione politica, il trattato ha degli spunti di riflessione di grande attualità. L’attacco al becero materialismo (quello dell’egoismo e dell’avidità, non quello filosofico) è sicuramente valido in un momento storico come il nostro che vede regnare solamente l’iniquo interesse economico. Su molti punti il Filosofo Incognito si rivela ben più moderno e progredito di molti pensatori del XXI secolo che si spacciano per tali.

Egli si scaglia contro la pena di morte, ritenendo che l’uomo non abbia il diritto di togliere la vita, visto che non può ridarla. Per l’autore la pena, infatti, deve essere data in funzione di una riabilitazione del criminale che tramite la pena stessa dovrebbe prender coscienza del suo errore e reinserirsi nel consesso della gente onesta. La pena di morte vanifica tutto ciò, rendendo impossibile ogni riabilitazione e dimostrandosi, di conseguenza, inutile:

Sicuramente una delle regole più incontestabili della giustizia sarebbe che le pene afflittive che i legislatori umani si permettono di infliggere non portassero via per sempre al criminale, ciò che gli potrebbe essere reso se questi venisse a profittare della punizione e rientrasse quindi nelle vie dell’osservanza delle leggi.

[ … ] Non avendo il potere di rendergli la vita essi dovrebbero sentire che non hanno neppure il potere di togliergliela, perché questa pena non è più una punizione ma una distruzione che diviene inutile per il colpevole e che non è neppure di alcun profitto per i malvagi che ne sono testimoni.[2]

Interessante a tal proposito l’accenno ad antiche pene capitali inflitte per ispirazione dello Spirito. L’autore si riferisce, con tutta probabilità, ai tanti uomini uccisi per ordine di Dio nelle Sacre Scritture. Per l’autore si tratta di casi diversi da quelli del criminale condannato da un pubblico tribunale. Dio infatti può dare la salvezza e riportare sulla retta via gli esseri umani anche dopo la morte e per questo è Egli solo a poter condannare a morte. Gli uomini di oggi non sono più come quelli di quei tempi e non odono più la voce di Dio. Pertanto non possono arrogarsi un diritto che non hanno:

Per eseguire questi terribili giudizi la giustizia suprema non impiegava sempre immediatamente i flagelli fisici e le potenze della natura; spesso, per velare la sua azione, confidava il suo diritto alla voce ed alla mano dell’uomo che, allora, si trovava legittimamente ed efficacemente dotato di quello che noi chiamiamo diritto di vita e di morte sui suoi simili; diritto che, essendo esercitato solo per ordine da parte di quelle luci che non sono affatto umane, si trova al riparo da qualsiasi rimprovero o critica.

Ma i legislatori umani non hanno trasmesso che le ombre di queste alte verità nella loro giustizia composita ed hanno trasferito quel diritto divino da tutte queste autorità superiori al loro solo potere cieco ed alla loro autorità capricciosa; e con essa hanno deciso, condannato ed ucciso, come se fossero investiti dell’autorità divina, arrivando a sostenere che non erano loro ma la legge a versare il sangue del colpevole.[3]

Tesi che comporta la non-eternità della pena per l’essere umano che muoia “nel peccato”:

[ … ] e siccome le leggi divine sono vive ed esse non possono, dando la morte, separarsi dalla vita che le accompagna, noi non crediamo di sbagliare sostenendo che il colpevole, che paghi il fio dei crimini della sua vita animale, e che entri quindi in una situazione più penosa di quella che ha lasciato, non possa anche, entrandovi con rassegnazione e sperando nella sua fine, godere infine delle vivificanti compensazioni divine.[4]

Tesi che condivido pienamente, non potendo io immaginare un Dio tanto crudele da dare una punizione eterna e infinita per una qualsivoglia colpa finita e temporanea.

Altro punto di grandissimo interesse è quello dei “nomi”, dove con tale termine si indicano quelle forme (nomi, appunto) che divengono idoli nella società, idoli sia di natura religiosa che politica. Molti sono, infatti, i miti che l’uomo crea e in nome dei quali è disposto a sacrificare la dignità, la sicurezza e perfino la vita dei propri simili. Alcuni di essi erano in origine cose buone, derivanti dalla Sorgente Prima, ma nella sua degenerazione l’uomo ha perso la conoscenza della vera natura di queste cose conservandone il solo nome ed ergendolo a oggetto della sua adorazione:

Disgraziatamente le fonti del pensiero malvagio hanno talmente prevalso su quello che restava all’uomo della sorgente pura, che noi non conosciamo alcuna associazione il cui nucleo o centro non sia debole o viziato; e più disgraziatamente ancora, quando i pensieri buoni si sono ritirati dalla casa dell’uomo, egli ne ha conservato i nomi, che però ha scambiato quasi sempre con le medesime cose che avrebbero dovuto rappresentare.

[ … ] Noi biasimiamo molto le nazioni selvagge che immolano vittime umane ai loro idoli: noi biasimiamo gli ebrei che hanno fatto altrettanto con i loro, dopo i falsi esempi che avevano imparato dai loro vicini. Presso questi popoli, indipendentemente dal nome dei loro idoli materiali, vi sono anche nomi di devozione, di patriottismo, di bisogni espiatori mal compresi, di vendetta etc. ed è a questi nomi o all’idea falsa che racchiudono che queste nazioni sacrificano degli uomini, ben più che ai loro idoli materiali, che non possono loro richiedere delle vittime.

Bene! Noi che ci crediamo così fortemente al di sopra degli altri popoli in questo campo, vediamo quante vittime umane abbiamo offerto durante la rivoluzione alle parole di nazione, sicurezza dello stato ecc.[5]

Come non vedere l’attualità di questa denuncia in un mondo dominato unicamente dal denaro e dall’economia? Un mondo in cui si sacrificano migliaia di vite ai novelli Moloc della “crescita economica” e del “mercato” non può che essere in preda di questa specie di malefica idolatria di cui parla il testo.

Il trattato non giunge a definire una forma ideale di governo. E forse sarebbe stato un controsenso farlo, visto che ogni forma non è che un’illusione dettata da questo mondo degenerato. Nonostante ciò, il Saint-Martin fa alcune considerazioni sulle nascenti idee repubblicane. In particolare egli si dimostra piuttosto scettico sullo strumento delle elezioni. Per l’autore esse possono valere nel ristretto ambito dell’amministrazione di cose pratiche, basse e materiali. Ma essendo l’unico governo buono e degno originato direttamente dall’alto, le elezioni non possono essere uno strumento valido in generale[6]. Anche in ciò egli si distacca dal pensiero politico moderno che nasceva in quei momenti. Egli non vedeva un governo eletto come rappresentante della “volontà generale”. Mentre Rousseau definiva la “volontà generale” come l’insieme delle singole volontà delle persone del popolo, e quindi le elezioni come espressione di questa stessa volontà, il Saint Martin negava che nel popolo potesse risiedere una volontà generale. Le persone hanno, infatti, idee diverse, diverse ambizioni e desideri che si riverberano nel disordine dell’umanità. Gli eletti, ammesso che si dedicassero alla soddisfazione dei bisogni degli elettori, non potrebbero comunque agire nell’interesse di tutti, ma solo nell’interesse di una delle parti. La volontà generale, dunque, per l’autore è da identificare con la volontà del Principio Primo a cui tutti gli uomini tendono e che tutti gli uomini desiderano, pur inconsciamente.

L’edizione della casa editrice Jouvence aggiunge al trattato del Filosofo Incognito una breve introduzione del traduttore, Mauro Cerulli, dove si spiega in modo sintetico, ma ben strutturato, il pensiero del Rousseau, dalla critica del quale il Saint-Martin parte nelle sue considerazioni. Inoltre è presente una introduzione storica (che occupa, a dire il vero, più della metà del libro) dal titolo “Louis Claude de Saint-Martin e il Martinismo” curata da Apis, Gran Maestro dell’Ordine Martinista Egizio. Oltre a una disquisizione su ciò che è il Martinismo e una ben documentata storia dei vari Ordini (francesi e italiani in particolare), Apis si spinge in una critica di atteggiamenti, oggi purtroppo assai diffusi, di protagonismo e di ciarlataneria. Sono vari i personaggi che si muovono nel mondo iniziatico e Martinista (nonché massonico) che se ne dimostrano indegni. Vari sono coloro che fanno proselitismo più per ragioni di egocentrismo (o, peggio, per denaro) che per diffondere la Luce e contribuire all’Opera di Reintegrazione. Senza considerare coloro che si danno a pratiche dubbie e incompatibili con la via martinista, personaggi che rischiano di vanificare con la loro malafede o con la loro ridicolaggine il lavoro duro e serio di molti Superiori Incogniti degni di tale titolo. Riporto a tal proposito solo una piccola citazione:

Possiamo solo aggiungere, come nota folkloristica l’esistenza di sedicenti “Gran Maestri” davvero reclutabili nel circo Barnum, tra cui un tale che alterna riti pseudo-martinisti con pratiche vudù (con tanto di galline sgozzate); un secondo personaggio che, dopo aver girato tre o quattro Ordini Martinisti, si è “messo in proprio” costituendo un micro-ordine di cinque o sei persone e che ha recentemente dato alle stampe un libro nel quale, oltre che coprire di improperi varie personalità del Martinismo (vive o morte), se la prende con coloro che concedono i Poteri Iniziatici alle Sorelle in quanto [ … ]: “La donna è nemica naturale dell’uomo poiché il suo compito è quello di rubargli lo sperma” (sic!).

[ … ] Un altro pittoresco “colloquiante con la Chose” invece va in giro spacciandosi per vescovo ortodosso con tanto di abito talare! Poi annoveriamo in tale divertente galleria alcuni “Martinisti” convertiti al culto degli UFO, altri “Martinisti” che si rifanno agli antichi culti iranici, ed infine “last but not least” un picaresco “Gran Jerofante de nojantri” che batte la capitale in lungo ed in largo sostenendo di essere il depositario “dell’Ordine Martinista di Ventura” (sic!), quando da tale ordine egli fu invece cacciato a pedate dal successore diretto del Ventura stesso, ovvero il citato Sebastiano Caracciolo![7]

Parole che non possiamo non condividere su personaggi a cui, pur non citandone l’autore l’identità, pensiamo di poter dare un nome e un cognome.

Concludo invitando i Fratelli Martinisti e non solo a leggere questo libro che può gettare una Luce pura, forte e viva sulla politica e la società di questa nostra buia epoca materialista.

Enrico Proserpio

[1] Louis Claude de Saint-Martin, “Gli illuminati nella società umana”, edizioni Jouvence, 2016, pagina 136.

[2] Louis Claude de Saint-Martin, “Gli illuminati nella società umana”, edizioni Jouvence, 2016, pagine 178 – 179.

[3] Louis Claude de Saint-Martin, “Gli illuminati nella società umana”, edizioni Jouvence, 2016, pagina 180 – 181.

[4] Louis Claude de Saint-Martin, “Gli illuminati nella società umana”, edizioni Jouvence, 2016, pagina 180.

[5] Louis Claude de Saint-Martin, “Gli illuminati nella società umana”, edizioni Jouvence, 2016, pagina 184. Corsivo mio.

[6] Anche ai giorni nostri ci sono pensatori che mettono in dubbio la validità del metodo elettorale e la sua effettiva democraticità. Le ragioni di tale critica sono, parzialmente, simili a quelle del Saint-Martin. A tal proposito consiglio la lettura di “Contro le elezioni” di David van Reybrouck.

[7] Fr::: Apis, “Louis Claude de Saint-Martin e il Martinismo”, pubblicato come introduzione a “Gli illuminati nella società umana” di Louis Claude de Saint-Martin, edizioni Jouvence, 2016, pagini 100 – 101.

Dogma, dogmatismo e Massoneria, ovvero della compatibilità tra Cristianesimo e Massoneria

Da che è nata la moderna Massoneria, ci si è posti il problema della compatibilità tra l’appartenenza massonica e la fede cristiana.

Il discorso è ovviamente complesso e non si può ridurre a un semplice articolo. Cercherò comunque di dare un quadro di massima della questione.

Finché la Massoneria fu operativa, formata, cioè, da muratori veri e propri che costruivano cattedrali, palazzi ed edifici vari, la questione non si pose. Le congregazioni muratorie, infatti, nascono nel medioevo in ambiente cattolico-romano e del cattolicesimo adottano la dottrina religiosa (salvo poi accogliere in segreto filosofi e artisti portatori di idee e dottrine diverse ed “eretiche”). Ne è segno la presenza di sacerdoti cattolico-romani tra i membri delle Logge. Fin dall’inizio, infatti, alle corporazioni non appartenevano solo muratori, ma anche membri che svolgevano altre funzioni. Questi venivano detti “Muratori Accettati” in quanto, pur non essendo muratori veri e propri, venivano accettati come tali. Tra di loro c’erano filosofi, teologi, artisti e letterati che contribuivano con la loro sapienza alla progettazione degli edifici e alle decorazioni degli stessi. Ma i due membri accettati sempre presenti, in ogni Loggia, erano il medico e, appunto, il prete. In quell’epoca, la religione era centrale nella vita delle persone e della società. Per questo le Logge necessitavano di un prete per svolgere le funzioni ordinarie (la messa) e per garantire i conforti religiosi a coloro che incappavano in incidenti e malattie. Fino a pochi decenni fa, infatti, poteva bastare una scheggia di sasso nell’occhio, o un’altra incidente anche banale, per causare infezioni mortali. Se poi pensiamo che i medici agivano in base a idee filosofiche, basate sul mero ragionamento speculativo e senza nessuna base esperienziale ed empirica, possiamo ben capire che il prete dovesse spesso subentrare con l’estrema unzione dopo i tentativi, vani, se non dannosi, di cura.

I secoli XVI e XVII videro però un drastico cambiamento nella cultura, nella politica e anche nella religiosità delle persone. A partire dalla riforma luterana nulla fu più come prima. Il potere monolitico della chiesa di Roma si stava sgretolando. E in una roccia crepata basta infilare una leva e far forza perché la roccia si rompa. Lutero fu la leva con cui diversi principi tedeschi prima, e monarchi poi, scardinarono l’egemonia di Roma. L’era moderna si stava aprendo. Per la prima volta dopo un millennio e mezzo l’Europa non era più unita sotto una sola Chiesa, ma era divisa e discorde sulla dottrina. Per due secoli il continente si coprì del sangue delle vittime delle guerre di religione, i cattolici massacrarono i protestanti e i protestanti ricambiarono senza risparmiarsi. Ma tale clima di guerra e violenza era destinato a finire.

L’inizio del XVIII secolo, in Inghilterra, vedeva una società non più dominata reda un unico pensiero religioso. Non solo: non si riusciva a intravedere una maggioranza tale da potersi imporre sulle altre fazioni. Il popolo inglese era cristiano, ma i vari Cristianesimi (cattolico-romano, anglicano, luterano…) erano numericamente simili e nessuno quindi poteva prevalere. In una simile situazione nacque la necessità e la volontà di un modo diverso di approcciarsi alla questione, un modo differente di fare spiritualità, filosofia e società. Al contempo, la Massoneria operativa andava sempre più in crisi a causa dei cambiamenti socio-economici dell’Inghilterra (e dell’Europa in generale) dell’epoca. Il nascente capitalismo rese obsolete le corporazioni di mestiere che si videro superare da aziende edili di tipo moderno, più snelle nella struttura e quindi molto più a buon mercato. I muratori quindi entravano sempre meno nelle Logge e, al contempo, queste si riempivano di membri Accettati, portatori di idee sociali, religiose e filosofiche spesso rivoluzionarie per l’epoca. Il fermento ideologico e filosofico della Massoneria del primo XVIII secolo fu, senza dubbio alcuno, il seme che fece germogliare, pochi decenni più tardi, l’illuminismo.

Il 24 giugno 1717, alla Taverna dell’Oca e della Graticola, nacque la prima Obbedienza massonica moderna: La Gran Loggia di Londra, poi divenuta Gran Loggia Unita d’Inghilterra. I suoi fondatori unirono quattro Logge preesistenti in una struttura più ampia, ma il vero cambiamento fu il passaggio dalla Massoneria operativa alla Massoneria speculativa. I membri della nuova Obbedienza non erano più muratori veri e propri, ma erano costruttori del Tempio interiore, filosofi, nel senso più nobile del termine, che lavoravano al bene dell’Umanità. E lo facevano dialogando in modo fraterno, guidati da un’ortoprassi fatta di simboli e Rituali, e da valori universali da tutti condivisi. In questo modo il luterano, il cattolico-romano, l’anglicano potevano dialogare tra loro senza conflitto, ma, anzi, con un proficuo e costruttivo confronto tra le diversità. E per poterlo fare la Massoneria non poteva più essere confessionale.

Nelle sue “Costituzioni” del 1723, primo Statuto massonico moderno da cui tutti i successivi prendono spunto e principio, James Anderson cercò di salvare la situazione impostando le regole della Massoneria in modo da non dare appiglio a nessuno per accusare l’Istituzione di irreligiosità o di contrarietà al Cristianesimo. Per prima cosa quindi fece una lunga e dettagliata storia della Massoneria. Si tratta di una storia mitologica e non reale, da leggersi in chiave simbolica e allegorica. Essa prende l’abbrivio da Adamo e, passando per Noè e altri grandi personaggi della Bibbia e non solo, racconta la storia dell’Arte Muratoria.

Ciò che più conta, però, e che ancor oggi risuona di un’attualità luminosa ed eccezionale, è il primo articolo delle Costituzioni che così recita:

Un Muratore è tenuto per la sua condizione a obbedire alla legge morale; e se intende rettamente l’Arte non sarà mai un ateo stupido né un libertino irreligioso. Ma sebbene nei tempi antichi i Muratori fossero obbligati in ogni Paese ad essere della religione di tale Paese o Nazione, quale essa fosse, oggi peraltro si reputa più conveniente obbligarli soltanto a quella Religione nella quale tutti gli uomini convengono, lasciando loro le loro particolari opinioni; ossia essere uomini buoni e sinceri o uomini di onore ed onestà, quali che siano le denominazioni o le persuasioni che li possono distinguere; per cui la Muratoria diviene il Centro di Unione, e il mezzo per conciliare sincera amicizia fra persone che sarebbero rimaste perpetuamente distanti.

L’Anderson aveva colto appieno l’importanza di un tema tanto delicato, soprattutto in un’epoca dove in diverse parti d’Europa ancora si bruciavano sul rogo eretici e streghe[1].

Se l’impegno dell’Anderson fu sufficiente a evitare discordie interne tali da distruggere l’Ordine e fu in grado di rendere la Massoneria un’istituzione funzionante e ricca di contenuti, non poté però evitare la scomunica papale, che nella Massoneria nascente vedeva il rischio della legittimazione delle “eresie” anglicana e protestanti. E come dargli torto? Dopotutto la Massoneria prendeva spunto e vitalità proprio da quella pluralità di vedute e da quel rispetto per la diversità che erano il pericolo più grande per il pensiero unico ed egemonico che ancora la Chiesa Cattolica Apostolica Romana ambiva imporre a tutti.

Fu Clemente XII a scomunicare i Massoni con la lettera “In eminenti apostolatus” del 1738. Ecco una parte del testo:

…decretiamo doversi condannare e proibire, come con la presente Nostra Costituzione, da valere in perpetuo, condanniamo e proibiamo le predette Società, Unioni, Riunioni, Adunanze, Aggregazioni o Conventicole dei Liberi Muratori o Massoni, o con qualunque altro nome chiamate. Pertanto, severamente, ed in virtù di santa obbedienza, comandiamo a tutti ed ai singoli fedeli di qualunque stato, grado, condizione, ordine, dignità o preminenza, sia Laici, sia Chierici, tanto Secolari quanto Regolari, ancorché degni di speciale ed individuale menzione e citazione, che nessuno ardisca o presuma sotto qualunque pretesto o apparenza di istituire, propagare o favorire le predette Società dei Liberi Muratori o Massoni o altrimenti denominate; di ospitarle o nasconderle nelle proprie case o altrove; di iscriversi ed aggregarsi ad esse; di procurare loro mezzi, facoltà o possibilità di convocarsi in qualche luogo; di somministrare loro qualche cosa od anche di prestare in qualunque modo consiglio, aiuto o favore, palesemente o in segreto, direttamente o indirettamente, in proprio o per altri, nonché di esortare, indurre, provocare o persuadere altri ad iscriversi o ad intervenire a simili Società, Unioni, Riunioni, Adunanze, Aggregazioni o Conventicole, sotto pena di scomunica per tutti i contravventori, come sopra, da incorrersi ipso facto, e senza alcuna dichiarazione, dalla quale nessuno possa essere assolto, se non in punto di morte, da altri all’infuori del Romano Pontefice pro tempore.

Come si può vedere la reazione fu feroce. Se infatti in Inghilterra il re era capo della Chiesa Anglicana e quindi la scomunica papale poco contava, nel resto d’Europa e in particolare nei paesi cattolici (Spagna, Francia, i vari stati italiani…) la scomunica era ancora una cosa pesante, che poteva significare problemi giudiziari, prigionia (se non peggio) o, nel migliore dei casi, isolamento e morte sociale. Proprio questo è lo scopo della scomunica: non solo il Massone è scomunicato, ma lo è anche chiunque lo aiuti o abbia rapporti con lui. Il Papa voleva dunque fare terra bruciata intorno alla Massoneria e ai Massoni.

Nei secoli successivi altri Papi hanno aggiunto ulteriori pene, o precisato meglio la scomunica. Benedetto XV, per esempio, nel 1917 sentenziò la negazione delle esequie cattoliche ai Massoni, la proibizione dei libri che presentassero la Massoneria come utile e non dannosa, la scomunica per chiunque aderisse a Logge massoniche e l’obbligo di denunciare al Sant’Uffizio[2] quei sacerdoti e quei chierici che facessero parte di Logge massoniche.

La situazione oggi è migliore, ma non di molto. La scomunica è stata tolta ed è stata sostituita dalla colpa grave. Per il Massone insomma è vigente l’interdizione dai sacramenti. Giovanni Paolo II, con il nuovo codice canonico del 1983, eliminò la dizione “Massoneria” e sostituì la condanna della stessa con la condanna di qualunque associazione cospiri contro la Chiesa. Per chi poi facesse parte di una tale associazione è prevista un’opportuna punizione e, nei casi più gravi, l’interdizione dai sacramenti. Il testo fu redatto dalla Congrega per la Dottrina della Fede, erede del Sant’Uffizio, diretta dall’allora Cardinale Joseph Ratzinger e approvato dal Papa. La Congrega per la Dottrina della Fede precisò che la Massoneria era da ritenersi incompatibile con la fede cattolico-romana e che, quindi, rientrava nelle associazioni che cospirano contro la Chiesa. Divenuto Benedetto XVI, Ratzinger non mutò nulla a riguardo e l’attuale Papa Francesco I sembra del tutto disinteressato all’argomento.

Ma da dove viene tutto questo astio? Si tratta solo di una questione politica, relativa al potere temporale della Chiesa di Roma? Personalmente non credo. Certo, l’aspetto politico fu senza dubbio importante, forse determinante. Ma c’è dell’altro: c’è un modo differente di vedere il mondo, di ragionare, di rapportarsi con l’altro.

Va fatto, per comprendere meglio il discorso della compatibilità o incompatibilità di Massoneria e religione, un discorso su cosa sia il Dogma di Fede.

I Dogmi sono la base della dottrina cristiana in generale e cattolica in particolare. Sono quelle premesse ritenute certe e indubitabili su cui poggia l’intero edificio della dottrina e della teologia. I Dogmi sono i pilastri della Fede e della Religione, gli unici veri “punti fermi”. Tutto il resto è, seppur nei limiti del metodo teologico, discutibile.

I Dogmi riguardano la natura di Dio (per quel poco che possiamo comprenderne) e altri temi della più alta dottrina. Non toccano argomenti relativi quali la morale (variabile a seconda dei tempi e delle nazioni) o altre questioni contingenti. Il Dogma è eterno (o per lo meno ritenuto tale dai credenti) e non può essere legato alla contingenza delle cose umane.

Altro conto è, invece, il dogmatismo, ovvero quel modo di pensare totalitario, che vorrebbe imporre a tutti una sola verità come unica accettabile. Un simile atteggiamento si riscontra spesso non solo nei religiosi (che tendono ad assolutizzare anche ciò che assoluto non è), ma anche in persone che non si interessano alla religione o che si definiscono atee. C’è spesso un rifiuto di ascoltare l’altro e le discussioni si riducono al tentativo di soverchiare l’interlocutore con i propri argomenti o, peggio, cercando di non lasciarlo parlare. Questo atteggiamento (sempre più diffuso nella società italiana a tutti i livelli) è quanto di meno massonico esista.

Ora, nella Massoneria non c’è nulla che sia in disaccordo con i valori del Cristianesimo. In nessun modo la Libera Muratoria nega i precetti della religione cristiana o cerca di dissuadere i propri membri dal seguirla. Anzi, come si evince dalla Costituzioni di Anderson e non solo, la religione (non sono quella cristiana) completa il percorso del Massone.

Se, però, la Massoneria è compatibile col Cristianesimo, non tutti i cristiani (e i religiosi in genere) sono adatti alla Massoneria. Vi sono frange del Cristianesimo, tanto cattolico quanto protestante, improntate a un certo fanatismo. Questi vorrebbero imporre la loro propria visione del mondo a tutta la società, arrogandosi il diritto di giudicare cosa sia giusto o sbagliato e pretendendo di poter censurare, se non punire, chi dissente dalla loro visione o chi, per una ragione o per l’altra, è da loro ritenuto “diverso”. Per quanto un simile atteggiamento sia lontano dal messaggio evangelico (Cristo invita a non giudicare in più occasioni), questo modo di ragionare pare si stia diffondendo sempre più. Forse perché il fanatismo, coi suoi toni forti, attira le persone deboli e sole, soprattutto in momenti di crisi e decadenza come quello che stiamo vivendo. Ma della decadenza il fanatismo non è la cura, ma il più grave segno.

La Massoneria non può accogliere fanatici nel suo seno. Come potrebbe, del resto, una persona non disposta al dialogo e al confronto sedere tra le Colonne di un Tempio che su tali principi basa il suo Lavoro? Su questo tema credo che la Massoneria tutta dovrebbe fare una riflessione seria e profonda, perché, purtroppo, i semi del fanatismo si sono intrufolati anche nelle Logge sotto forma di teorie pseudo-esoteriche di stampo spesso razzista o comunque discriminatorio, basate su pregiudizi e su farneticazioni di qualche presunto “maestro” del XIX o XX secolo. Si sentono le più grandi assurdità su ciò che sarebbe “naturale” o meno, si sentono dichiarazioni violente su minoranze e su attivisti politici che si battono per diritti e laicità, si percepisce in modo chiaro un certo odio per l’altro e una profonda ignoranza delle cose dello Spirito e della Massoneria. Ho sentito dire a un Fratello (un Maestro) che la Chiesa Cattolica non si può contestare perché, a suo dire, sarebbe la più grande associazione iniziatica esistente. Ora, la Chiesa non è un’associazione iniziatica, ma religiosa e basta leggere il Guénon per sapere quale sia la differenza. Inoltre “iniziatico” o “spirituale” non significano “incontestabile” e “indiscutibile”. Al contrario! L’indiscutibilità di una qualsivoglia tesi è un concetto assurdo per chi davvero comprenda l’essenza della Massoneria. I capi saldi della nostra Istituzione, infatti, non sono dogmi piovuti dall’alto o imposti da una qualche autorità, ma simboli, Rituali, strumenti e valori temprati da secoli di pratica, elementi che sono accettati e ritenuti validi perché hanno resistito, e resistono, alla continua prova del tempo. Il Fratello, inoltre, dimenticava i contrasti tra Massoneria e Chiesa di Roma del secolo XIX proprio in nome della Libertà di espressione e di critica.

Altre volte mi è capitato di riscontrare in molti Fratelli la mancanza di volontà di mettersi in discussione e la chiusura verso le ragioni altrui. Questi sono gli atteggiamenti dogmatici incompatibili con la Massoneria che, purtroppo, sempre più si riscontrano anche tra le Colonne. Solo con una profonda riflessione su questi temi la Massoneria potrà tornare a essere il faro della nostra società e smettere finalmente di essere lo specchio della moderna decadenza.

Tornando al dogma, se con i vari Cristianesimi di stampo ortodosso e protestante non ci sono motivi per parlare di incompatibilità tra i dogmi e la Massoneria, per il cattolicesimo romano le cose si complicano. La Chiesa Romana, infatti, ha alcuni dogmi in più rispetto agli altri cristianesimi e in particolare rispetto ai “cugini” ortodossi, dogmi introdotti dopo lo scisma del 1054. Già all’epoca lo scontro fu soprattutto sulla questione del Primato di Pietro (anche se il casus belli che generò lo scisma fu un altro[3]) tra gli apostoli che, per Roma, giustifica il Primato Papale su tutti gli altri Vescovi. Per l’Ortodossia invece il Primato va a tutti i Patriarchi ed è solo un Primato di carità e di onore, non di potere.

Negli ultimi due secoli, poi, sono stati introdotti tre nuovi dogmi. E se i dogmi mariani moderni (Immacolata Concezione e Assunzione di Maria in Cielo) non creano nessun attrito con il modo di operare della Massoneria, il terzo dogma, l’Infallibilità Papale, introdotto nel 1870 dal Concilio Vaticano Primo, indetto da Papa Pio IX, crea qualche problema, almeno da un punto di vista filosofico.

Ciò che collide con la Libera Muratoria riguarda, quindi, la gerarchia ecclesiastica e non Dio. La Massoneria non può riconoscere il Primato Papale, perché riconoscendo pari dignità alle varie religioni e vie spirituali, non può riconoscere la superiorità di un Pontefice, di un capo religioso. La Massoneria accetta i cattolici, ne riconosce la dignità religiosa e li rispetta come è giusto che sia, ma non si sottomette all’autorità della gerarchia di nessuna Chiesa.

Il dogma dell’Infallibilità Papale pone anche problemi di tipo più filosofico. Fu introdotto nel 1870 mentre Roma cedeva alle armate dei Savoia. Pio IX e i Vescovi convenuti a Roma per il Concilio erano convinti che la fine della Chiesa stesse arrivando: la Città Santa, la capitale della Cristianità veniva invasa da un esercito occupante comandato da generali Massoni e obbediente a un re che con la Massoneria andava a braccetto. Certi che non si sarebbe più potuto indire un Concilio in futuro, si decisero ad approvare l’Infallibilità Papale al fine di permettere al Santo Padre di introdurre nuovi dogmi e di dirimere diatribe importanti a livello di magistero senza l’intervento, appunto, di un Concilio.

Ma in cosa consiste realmente il dogma dell’Infallibilità Papale? Eccone il testo:

Perciò Noi, mantenendoci fedeli alla tradizione ricevuta dai primordi della fede cristiana, per la gloria di Dio nostro Salvatore, per l’esaltazione della religione Cattolica e per la salvezza dei popoli cristiani, con l’approvazione del sacro Concilio proclamiamo e definiamo dogma rivelato da Dio che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando esercita il suo supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, e in forza del suo supremo potere Apostolico definisce una dottrina circa la fede e i costumi, vincola tutta la Chiesa, per la divina assistenza a lui promessa nella persona del beato Pietro, gode di quell’infallibilità con cui il divino Redentore volle fosse corredata la sua Chiesa nel definire la dottrina intorno alla fede e ai costumi: pertanto tali definizioni del Romano Pontefice sono immutabili per se stesse, e non per il consenso della Chiesa. Se qualcuno quindi avrà la presunzione di opporsi a questa Nostra definizione, Dio non voglia!: sia anatema.[4]

È importante notare che non tutto ciò che il Papa dichiara o afferma è coperto dall’Infallibilità. Perché l’Infallibilità ci sia, il Papa deve parlare “ex cathedra”, in modo quindi ufficiale e palese. Ciò avvenne solo due volte nella storia, per l’introduzione dei due dogmi mariani moderni. L’Immacolata Concezione fu introdotta infatti con una dichiarazione ex cathedra dallo stesso Pio IX nel 1854, generando non poche polemiche per la presa di posizione. L’introduzione dell’Infallibilità pose fine al dubbio sulla liceità della proclamazione del dogma e diede definitivo valore allo stesso. Nel 1950, Pio XII, dopo aver consultato i Vescovi, introdusse il dogma dell’Assunzione di Maria in Cielo usando l’Infallibilità Papale ed evitando così un inutile e dispendioso Concilio.

L’Infallibilità, a livello pratico, non è quindi di grande rilevanza. Resta però il dubbio filosofico e spirituale su questo tema: il Massone può davvero riconoscere questa facoltà al Papa? Può il Massone accettare che un solo uomo sia autorizzato a decidere per tutti arrogandosi il diritto esclusivo del rapporto con l’Altissimo? Personalmente ritengo che sia inaccettabile non solo per i Massoni, ma anche per i Cristiani. Ma questo è il mio punto di vista, da cattolico ortodosso.

Resta però il fatto che ammettere un concetto come quello dell’Infallibilità Papale pone un serio problema al senso del percorso iniziatico stesso. A che serve un percorso di perfezionamento, lungo, faticoso e incerto, pieno di insidie e di prove, quando abbiamo già una verità assoluta, indubitabile e infallibile pronta e a portata di mano? Ammettendo l’Infallibilità Papale si ammette la supremazia di Roma su ogni altra forma di pensiero o di spiritualità. In tal caso ogni altra Via sarebbe inutile, se non dannosa o addirittura diabolica. La Massoneria non può concedere a nessuno un’aura di divina superiorità, se non a Dio stesso, e non può ammettere che un uomo, per quanto potente o Santo possa essere, abbia l’esclusiva del rapporto con Dio.

Dobbiamo però chiarire che non tutti i cattolici romani sono dogmatici e rigidi. Non è necessario credere nell’Infallibilità Papale per essere cattolico. I pilastri del cattolicesimo, quegli elementi che lo distinguono dai protestantesimi, sono altri. Citiamo qui soltanto il culto mariano, il culto dei Santi e, soprattutto, la Transustanziazione, ovvero il credo nel reale, sostanziale mutamento del pane e del vino in Corpo e Sangue di Cristo. È quindi evidente che sta al singolo cattolico romano decidere, in coscienza, se il percorso massonico sia o meno compatibile con il suo credo. Si torna al come si vede la religione, al come la si vive. Il Massone vive la spiritualità come ricerca del Vero al di là delle forme. Non si ferma alla semplice adesione a una dottrina formale e a una morale imposta acriticamente. Lo stesso fa il vero religioso, che attraverso le regole e la dottrina cerca un dialogo interiore genuino e vero col Divino. È il bigottismo, il fanatismo, a essere incompatibile con la ricerca della Verità, poiché il fanatismo è staticità, è l’arroccarsi su una posizione rifiutando ogni confronto. E questo è profondamente contrario alla pratica massonica. Il Massone vive la religione intensamente, come via allo Spirito e non come semplice proclamazione di ciò che è vero e giusto. Il Massone sa che la ri-velazione è solo una nuova forma che nasconde la Verità, ma che ci permette di avvicinarci a essa un po’ di più. Come tale nessuna ri-velazione può essere ritenuta assoluta e immutabile. Il Massone, insomma, sa cogliere quella differenza importante che Louis-Claude de Saint-Martin faceva tra Cristianesimo e Cattolicesimo:

Il cristianesimo è il complemento del sacerdozio di Melchisedec; è l’anima del Vangelo, è esso che fa circolare in questo Vangelo tutte le acque vive di cui le nazioni hanno bisogno per dissetarsi.

Il cattolicesimo, al quale appartiene propriamente il titolo di religione, è la via di prova e di travaglio per arrivare al cristianesimo.

Il cristianesimo è la religione dell’affrancamento e della libertà: il cattolicesimo non è che il seminario del cristianesimo; è la religione delle regole e della disciplina del neofita.

Il cristianesimo riempie tutta la terra alla pari dello spirito di Dio. Il cattolicesimo non riempie che una parte del globo, sebbene il titolo che porta si presenti come universale.[5]

Enrico Proserpio

[1] Gli ultimi roghi storicamente testimoniati in Europa furono nel 1793 in Polonia. Ancora oggi però accadono cose simili in diversi paesi.

[2] Ancora oggi si sentono spesso appelli da parte di alcune frange del cattolicesimo romano a denunciare religiosi e laici Massoni all’autorità ecclesiastica. Ricordiamo in particolar modo l’azione di Padre Luigi Villa (1918 – 2012), che allo scovare sacerdoti e religiosi Massoni ha dedicato la sua vita.

[3] Lo scisma fu generato dalla volontà di Roma di imporre il “Filioque”, ovvero la credenza secondo cui lo Spirito Santo discende dal Padre e dal Figlio (Filioque significa, appunto, “e dal Figlio”). Tale tesi fu rifiutata dagli ortodossi, per i quali lo Spirito Santo discende unicamente dal Padre. Va detto però che il Filioque fu usato come scusa per lo scontro di potere tra il Papa e i Patriarchi orientali, in particolare con quello di Costantinopoli.

[4] l testo è tratto dalla Costituzione Dogmatica Pastor Aeternus del 18 luglio 1870.

[5] Louis-Claude de Saint Martin, Della parola Il ministero dell’Uomo-spirito 3, edizioni Tipheret, 2013, pagina 48.