Il Coccodrillo: romanzo di L.C. de Saint-Martin

Coloro che si dedicano all’esoterismo cristiano conoscono le opere di Louis Claude de Saint-Martin. Tra queste, però, ce n’è una che sicuramente, e ingiustamente, è trascurata. Si tratta del suo romanzo, diviso in centodue canti, “Il Coccodrillo”, uscito nel 1799, opera narrativa dal profondo valore allegorico e iniziatico.

La copertina del libro.

Il Coccodrillo è un mostro millenario, un’enorme creatura oscura la cui coda è incatenata sotto la grande piramide, in Egitto, ma il cui corpo può allungarsi indefinitamente e raggiungere ogni luogo dell’universo. Egli ha imprigionato le scienze, assoggettandole alla propria volontà e traviandole per gettare l’umanità nelle tenebre dell’ignoranza e dell’errore.

Ma all’opera del Coccodrillo si oppone quella della Società degli Indipendenti, persone illuminate, guidate da Madame JOF, che segretamente impediscono al male di sopraffare l’umanità. Essi danno agli uomini di buona volontà i mezzi per combattere le tenebre e l’aiuto necessario.

Tra queste persone di buona volontà ci sono l’Israelita Eleazar e sua figlia Rachele, il nobile Sedir, ufficiale di polizia di Parigi e il volontario Ourdeck. Quando il Coccodrillo manderà i suoi scagnozzi (l’uomo magro e la donna grassa) ad assoldare il facinoroso Roson per scatenare il disordine nella capitale francese, essi si alleano e si oppongono ai suoi piani.

Tra attacchi magici, miracoli, prodigi di ogni genere, il saggio Eleazar e i suoi prodi alleati riusciranno a sconfiggere il Coccodrillo e a incatenarlo del tutto sotto la piramide.

Il testo non si pone come un semplice romanzo fantastico. Anzi, lo scopo è chiaramente didascalico, iniziatico. Oltre alla narrazione degli eventi troviamo dissertazioni filosofiche che ne spiegano il senso (pur sempre in modo allegorico) in modo che chi ha orecchie per intendere, intenda. Gli stessi personaggi sono strutturati in modo da descrivere i vari tipi umani e, al contempo, il percorso iniziatico. Il ribelle Roson, per esempio, è l’uomo totalmente in preda alle passioni e ai vizi e che, quindi, non riesce a non commettere il male. Ecco come egli riassume i suoi ultimi dieci anni a Rachele:

Uscito dalla Spagna dieci anni fa, grazie al vostro aiuto, mi rifugiai in Portogallo dove prestai servizio per quattro anni nella cavalleria. Avevo un ottimo capitano, ma ebbi un alterco con lui e lo uccisi. Mi rifugiai in un convento di Geronimiti a Lisbona, dove rimasi per alcune settimane come converso. Dovetti ancora sloggiare di là in quanto fui obbligato ad uccidere il dispensiere che si rifiutava di darmi da bere quando avevo sete.[1]

E il racconto dei misfatti continua. Roson rappresenta l’uomo malvagio e irresponsabile, il quale, nonostante abbia modo di accedere alla conoscenza e di praticare le virtù (Roson conosce Eleazar fin da bambino) le rifiuta e preferisce seguire il male, giustificandosi come se non fosse colpa sua (fui obbligato ad uccidere…).

I buoni, invece, rappresentano le diverse fasi e i diversi stati di consapevolezza del percorso iniziatico. Eleazar è il saggio, colui che è avanti nel percorso e ha raggiunto uno stato di grande saggezza (anche se non ancora completa) grazie al suo lavoro e ai suoi valori morali. Sedir è l’uomo buono, virtuoso, giusto, ma ancora non consapevole. Egli comincerà ad aprire gli occhi grazie a Eleazar e si incamminerà sulla via dello Spirito. Ourdeck è invece il giovane volonteroso, ma ancora passionale e incostante. In tutto ciò Rachele, la figlia di Eleazar, sembra rappresentare la Virtù, che accompagna e sostiene i tre.

l’autore, Louis Claude de Saint-Martin.

Senza entrare troppo nella trama e nei contenuti del libro (lascio al lettore il piacere di scoprirli) vorrei segnalare alcuni passi che ho trovato particolarmente interessanti e ben scritti.

Il primo è l’attacco che il Coccodrillo porta, con i suoi poteri, agli accademici francesi (per i quali l’autore non dimostra molta stima, descrivendoli come ciechi tronfi che si credono illuminati, scambiando arrogantemente le loro false concezioni per vera scienza). Egli trasforma tutti i libri in una poltiglia grigiastra e manda delle nutrici a imboccare questi dottori, facendo loro mangiare quel liquame. Gli accademici cominciano così a fare discorsi sconclusionati, senza capo né coda, mischiando concetti e idee, assorbiti mangiando i libri, che non hanno nessuna attinenza l’uno con l’altro: una sorta di parabola su cui dovrebbero riflettere quei Massoni che mischiano di tutto, prendendo un concetto qua e uno là e introducendo il tutto (ben mescolato, salato e pepato) in Loggia, dandosi arie da persone colte e di alta spiritualità.

Altro passaggio molto bello è il viaggio di Ourdeck all’interno del Coccodrillo, dopo esserne stato divorato insieme all’armata dei ribelli (servi del Coccodrillo) e a quella dei difensori della città. Durante questo viaggio egli giunge nella città di Atlante, la quale è stata sepolta secoli prima sotto una cupola di detriti e si è conservata alla perfezione. Egli così non solo può vedere gli abitanti, come congelati nelle loro attività, ma può anche leggere le parole che essi stavano dicendo, rimaste scritte nell’aria. Da questa esperienza Ourdeck trarrà molti insegnamenti (e il lettore con lui). Anche qui il Saint-Martin ci fa notare la vanità dei grandi discorsi e delle vuote parole. Il giovane giunge, infatti, nella casa di un professore che detiene la cattedra del silenzio:

Il professore teneva, come Arpocrate, il primo dito della mano destra sulla bocca; cosa che mi indicò che insegnava il silenzio e che, non parlando né di lui né dei suoi discepoli, offriva l’esempio del suo insegnamento.

Dopo alcuni minuti di riflessione su questa particolarità, stavo per andarmene, visto che non potevo leggere niente, né sulla carta né nell’aria. Ma proprio mentre mi allontanavo incominciai a percepire delle cose straordinarie che attirarono la mia attenzione. Più le osservavo più si sviluppavano e diventavano vive sotto i miei occhi; in modo che ben presto tutto l’appartamento si riempì di prodigi incredibili e sui quali gli occhi dei presenti erano fissi così attentamente che di sicuro il sonno non poteva entrare in quella sublime scuola, come invece succede di fronte a certi oratori.[2]

E aggiunge poi una considerazione che ben si addice al segreto massonico:

Non vi riferirò a questo punto quali sono queste meraviglie e queste conoscenze, perché dovrei parlarne per potervele riportare. Poiché io le ho apprese attraverso il silenzio, credo che anche per voi sia possibile apprenderle solo attraverso il silenzio.[3]

In sostanza, il Saint-Martin pone l’accento sulla conoscenza, sull’umiltà della ricerca e sulle virtù morali, vero strumento di elevazione spirituale e di potere. Questo è senza dubbio l’insegnamento più importante del romanzo. Esso è, però, ricchissimo anche da un punto di vista filosofico e potrà dare a chi lo legge moltissimi spunti di riflessione e di approfondimento.

Una nota sullo stile non può mancare. L’autore si dimostra un narratore abile. La trama scorre piacevole e veloce, riuscendo a trasmettere tutti i significati senza divenire pensante e pedissequa. Anzi, il testo è infarcito di una certa elegante ironia, tutta settecentesca, che dà colore ai fatti narrati e li rende adatti anche alla lettura da parte di chi non sia interessato al messaggio spirituale, ma solo alla storia.  

Prima di concludere, segnalo la particolarità del canto 70. Esso non fa parte della narrazione, ma la interrompe per descrivere le posizioni filosofiche dell’autore sui segni, sulle lingue e sul loro rapporto con la Verità. Essendo così distaccato dalla trama e costituendo quasi un trattatello a sé, è stato escluso (a torto, secondo chi scrive) da diverse edizioni del romanzo. La Aedel edizioni ha invece deciso di inserirlo, facendo cosa buona e giusta, poiché se anche non apporta nulla alla trama, aggiunge molto al senso iniziatico della narrazione, che poi è il vero scopo. Per questo motivo consiglio questa edizione, per altro ben curata e corredata di una prefazione sull’autore ad opera di Paolo Giraudo.  

Enrico Proserpio


[1] Louis Claude de Saint-Martin, Il coccodrillo, Aedel edizioni, 1999, pagine 77 – 78.

[2] Louis Claude de Saint-Martin, Il coccodrillo, Aedel edizioni, 1999, pagine 398 – 399.

[3] Louis Claude de Saint-Martin, Il coccodrillo, Aedel edizioni, 1999, pagina 399.