Qualche tempo fa, girando per negozi, mi capitò sotto mano un libro di poesie di Carlo Porta, poeta milanese vissuto a cavallo tra il XVIII e XIX secolo. Nello sfogliare, una poesia in particole attirò la mia attenzione. Era una delle poche poesie di Porta che ancora non conoscevo e, quindi, mi misi subito a leggerla. Con mia sorpresa scoprii che riguardava la Massoneria e quindi decisi di scriverci un articolo. Prima di tutto, però, presentiamo l’autore.
N.B. Per chi volesse solo leggere la poesia, testo e traduzione sono linkati in fondo all’articolo.
Carlo Porta
Carlo Porta (15 giugno 1775 – 5 gennaio 1821) è ritenuto il più grande poeta che abbia scritto in milanese. Le sue opere, ammirate e lodate da molti, tra cui lo scrittore francese Stendhal, sono per lo più componimenti ironici, spesso narranti storie, dal contenuto sociale e politico. La sua educazione, avvenuta
nella scuola dei Barnabiti a Monza prima e in seminario poi, lasciò nel suo spirito un profondo anticlericalismo che il poeta non esitò mai a esprimere. I preti sono, infatti, le vittime preferite della sua satira, accompagnati, solitamente, dagli aristocratici.
Illuminista, colto, Massone, anticlericale, libertario, il Porta attacca con la sua penna i vizi delle classi dominanti, denunciandone il bigottismo, l’ipocrisia e il perbenismo.
Esempio eccellente della sua critica anti-aristocratica è “La preghiera” di cui riporto i primi versi:
Donna Fabia Fabron De Fabrian
l’eva settada al foeuch, sabet passaa, col pader Sigismond, ex franzescan, che intrattant el ghe usava la bontaa – intrattanta, s’intend, ch’el ris coseva – de scoltà sto discors che la faseva:
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Donna Fabia Fabrone di Fabriano
era seduta al fuoco, sabato scorso, con padre Sigismondo, ex francescano, che intanto le usava la bontà – intanto, si intende, che il riso cuoceva- di ascoltare questo discorso che lei faceva |
Ecco comparire qui la figura del religioso interessato più a scroccare da mangiare alla ricca signora che non alla sua “salute spirituale”. Il Porta sottolinea il carattere del prete con quel “ex francescan” che ci fa capire come egli abbia preferito la comodità e il buon cibo delle tavole nobiliari alla povertà dei francescani. E intanto che il riso cuoce, padre Sigismondo ascolta il discorso di Donna Fabia.
La nobildonna racconta di essere andata un giorno in chiesa e di essere caduta scendendo dalla carrozza. Un gruppo di poveri, davanti allo spettacolo della caduta, non aveva esitato a prenderla in giro con risa e sberleffi. La donna, con fare superiore, si alza ed entra in chiesa dove recita al Signore la sua preghiera che inizia così:
Mio caro e buon Gesù, che per decreto
dell’infallibil vostra volontà
m’avete fatta nascere nel ceto
distinto della prima nobiltà,
mentre poteva, a un minim cenno vostro,
nascer plebea, un verme vile, un mostro;
Vediamo dunque tutto il disprezzo che la nobildonna ha per il popolo, disprezzo che il Porta sottolinea in diverse opere. In “La nomina del capelan” (la nomina del cappellano), opera che narra la selezione di un nuovo prete di corte da parte di una ricca marchesa, il poeta torna a descrivere l’opportunismo dei preti e l’arroganza e supponenza dei nobili. Basti qui un piccolo estratto:
Che, in fin di fatt, se in cà de donna Paola
no gh’era per i pret on gran rispett, almanca gh’era on fioretton de taola, de fa sarà su on oeucc su sto difett, minga domà a on galupp d’on cappellan, ma a paricc di teolegh de Milan. |
Che, in fin dei conti, se in casa di donna Paola
non c’era per i preti un gran rispetto, almeno c’era un fior di tavola, da far chiudere un occhio su questo difetto non solo a un miserabile cappellano, ma a parecchi dei teologi di Milano. |
Non solo preti e aristocratici, però, popolano le poesie del Porta. Anche il popolo trova spazio nella sua poetica. Diversi sono i personaggi popolari a cui il Porta dà voce, spesso in lunghi monologhi. Dal povero vessato dai potenti (Desgrazi de Giovannin Bongee), alla prostituta che racconta la sua storia (La Ninetta del Verzee): persone misere, indifese davanti al potere, che il Porta stima più dei potenti stessi. Questi personaggi, per quanto divertenti, sono sempre descritti con occhio bonario e comprensivo, diversamente da nobili e religiosi.
Oltre che negli ideali, il Porta è moderno anche nello stile. Le sue opere, spesso in sestine a verso libero, sposano appieno lo stile del romanticismo, nascente corrente letteraria che informerà di sé molta letteratura del XIX secolo. E da buon poeta romantico non può esimersi dal partecipare alla contesa tra romantici e neoclassici. Nella poesia “El romanticismo” egli si rivolge a Madame Bibin per spiegarle l’essenza del romanticismo stesso e smentire tutte le brutte cose che certa gente andava dicendo di chi aderisce a questa corrente (si diceva, da parte neoclassica, che i romantici fossero libertini edonisti, dediti solo ai piaceri). Al Porta risponde Carlo Gherardini, poeta neoclassico, con un componimento dal titolo “La risposta di Madam Bibin”. E proprio il Gherardini è il nemico giurato del Porta. I due continueranno a stuzzicarsi a distanza, in un gioco di battibecchi poetici, dai toni, a volte, piuttosto forti. In un sonetto intitolato “Alla musa del sur G.” (Alla musa del signor G.) il Porta definisce l’avversario “Ciolla! Cojon! Sonaj! Morbo! Strument!”, i primi tre termini essendo traducibili con “coglione” e gli altri due significando “morbo, malattia” e “strumento, oggetto senza intelligenza”.
Concludiamo dicendo che il Porta ebbe, a suo tempo, contatti con i più grandi letterati tra cui Ugo Foscolo, Tommaso Grossi, Giovanni Berchet, Alessandro Manzoni… inserendosi a pieno diritto nel clima di vivacità artistica e intellettuale dell’epoca. L’uso del dialetto ha purtroppo limitato la diffusione delle sue opere, difficilmente comprensibili da chi non conosca, e bene, il dialetto milanese, ma ha al contempo donato loro una vivacità e un colore che difficilmente l’italiano potrebbe dare.
Ona vision
Veniamo ora alla nostra poesia. “Ona vision” fu scritta nel 1812 e si inserisce tra le opere satiriche che attaccano clero e nobiltà. La scena si svolge a casa di due sorelle aristocratiche che si intuisce essere zitelle. Con loro ci sono Don Pasquale e il teologo e canonista Don Diego. Don Pasquale sonnecchia davanti al fuoco, brontolando e russando, dopo aver lautamente mangiato. Nessuno però lo disturba, poiché si dice che durante il sonno egli abbia visioni mandate da Dio. Le sorelle pregano sottovoce, chiedendo alla bontà divina di sterminare tutti coloro che si permettono di disturbare i preti mentre dormono. Ma il sonno è agitato e le donne si preoccupano che qualche terribile visione possa far passare al sacerdote la fame per la merenda.
Don Diego, intanto, partecipa alle preghiere, interrompendosi di tanto in tanto per recitare alcune parti del breviario rimaste indietro.
Finalmente Padre Pasquale si sveglia e racconta la visione avuta. Era in Paradiso, e c’erano tanti Santi e Beati da poter far da tappeto al Paradiso stesso.
Le donne chiedono subito se, per caso, abbia visto qualche loro cugina o parente, ma il sacerdote dice di no. In compenso, dice di aver visto molte persone famose, tra cui Giuseppe Parini, Pietro Metastasio e altri celebri personaggi di cui vari in odor di Massoneria.
Le marchesine sono scandalizzate! Com’è possibile che dei Massoni siano in Paradiso? Non sa forse Don Pasquale che solo a conversare con loro si incappa nella scomunica papale?
Per il veggente le cose sembrano mettersi male: potrebbe rischiare addirittura di essere bandito dalla casa e dalla tavola delle due dame!
Per fortuna in suo soccorso viene Don Diego, che da teologo e canonista quale è, salva Don Pasquale dal suo funesto destino con un mirabile gioco di filosofia, che lascio a voi scoprire.
Potete scaricare la poesia con la mia traduzione al link sottostante:
Ona vision, poesia di Carlo Porta
Enrico Proserpio