Davanti al Tempio di Salomone, a lato dell’ingresso d’Occidente, il re Salomone fece erigere due Colonne di bronzo dal forte senso simbolico. Così dice Ruggiero Di Castiglione:
La colonna di destra (Jakin) evoca, infatti, l’idea di «solidità»; mentre quella di sinistra (Boaz), l’idea di «forza». L’unione dei due nomi indica «stabilità».[1]
La storia della costruzione del Tempio e delle Colonne è narrata nella Bibbia, precisamente nel primo libro dei Re[2]:
Fuse due colonne di bronzo, ognuna alta diciotto cubiti e dodici di circonferenza. Fece due capitelli, fusi di bronzo, da collocarsi sulla cima delle colonne; l’uno e l’altro erano alti cinque cubiti.
Fece due reticoli per coprire i capitelli che erano sopra le colonne, un reticolato per un capitello e un reticolato per l’altro capitello. Fece melagrane su due file intorno al reticolato per coprire i capitelli sopra le colonne; allo stesso modo fece per il secondo capitello. I capitelli sopra le colonne erano a forma di giglio. C’erano capitelli sopra le colonne, applicati alla sporgenza che era al di là del reticolato; essi contenevano duecento melagrane in fila intorno a ogni capitello. Eresse le colonne nel vestibolo del tempio. Eresse la colonna di destra, che chiamò Iachin ed eresse la colonna di sinistra, che chiamò Boaz. Così fu terminato il lavoro delle colonne.[3]
Qui ci occuperemo del significato della Colonna Boaz e del suo nome, il quale è anche la Parola del grado di Compagno[4].
Come si diceva, Boaz (o Booz) significa “forza” o “in forza”. Essa rappresenta una delle virtù necessarie alla pratica iniziatica. In questo grado, però, la forza non appartiene ancora all’Iniziato, ma risiede nella Colonna, nel Tempio. Il Compagno, quindi, si deve appoggiare, per il suo lavoro, alla Loggia e all’Ordine e non ha ancora gli strumenti necessari a camminare da solo. A riprova di ciò ricordiamo che nel Rito Scozzese Rettificato ogni grado corrisponde a una delle sette virtù. La Fortezza, a cui la Parola del secondo grado sembra collegarsi, è la virtù del quarto grado (Maestro Scozzese di Sant’Andrea), ultimo dei gradi strettamente massonici di tale Rito. Il Fratello che abbia raggiunto quel grado ha tutti gli strumenti necessari per muoversi autonomamente e indipendentemente sul piano dei Piccoli Misteri, avendo completato la parte muratoria del percorso connesso alle quattro Virtù Cardinali. Da queste basi potrà partire per ascendere verso la realizzazione dei Grandi Misteri.
La Fortezza è messa come ultima delle Virtù Cardinali da realizzare in sé perché essa necessita delle altre per poter agire nel modo corretto. Senza la guida delle altre tre (Giustizia, Temperanza, Prudenza) la Fortezza rischia di divenire forza bruta, violenta, trasformandosi da Virtù in vizio. Il Compagno ha come Virtù la Temperanza: egli, accudito e aiutato dalla forza della Loggia e della Massoneria tutta, dovrà imparare a placare le passioni, a incanalarle in modo costruttivo, a trovare quel “giusto mezzo” tra gli opposti che diviene sintesi tra gli stessi.
C’è però un altro aspetto da considerare, che è tipico del Rito Scozzese Rettificato e di lui solo (in ambito massonico). Ai significati della Parola del secondo grado Martinez de Pasqually aggiunge un significato ulteriore, attribuendola, come nome proprio, a uno dei figli di Caino. Prima di addentrarci nel racconto martinezista segnalo che anche nella Bibbia c’è un personaggio di nome Boaz (o Booz). Si tratta di un antenato del Re Davide (e quindi di Gesù di Nazareth). Lo incontriamo nel Libro di Rut, dove si narra la storia della moabita Rut, vedova di un uomo ebreo che si era trasferito nel regno di Moab, che alla morte del marito decide di seguire la suocera, Noemi, e vivere in Israele. Giunta lì, mentre spigola, Rut incontra Booz, suo futuro marito:
Noemi aveva un parente del marito, uomo potente e ricco della famiglia di Elimèlech, che si chiamava Booz. Rut, la Moabita, disse a Noemi: «Lasciami andare per la campagna a spigolare dietro a qualcuno agli occhi del quale avrò trovato grazia». Le rispose: «Va’, figlia mia». Rut andò e si mise a spigolare nella campagna dietro ai mietitori; per caso si trovò nella parte della campagna appartenente a Booz, che era della famiglia di Elimèlech. Ed ecco Booz arrivò da Betlemme e disse ai mietitori: «Il Signore sia con voi!». Quelli gli risposero: «Il Signore ti benedica!». Booz disse al suo servo, incaricato di sorvegliare i mietitori: «Di chi è questa giovane?». Il servo incaricato di sorvegliare i mietitori rispose: «È una giovane Moabita, quella che è tornata con Noemi dalla campagna di Moab. Ha detto: Vorrei spigolare e raccogliere dietro ai mietitori. È venuta ed è rimasta in piedi da stamattina fino ad ora; solo in questo momento si è un poco seduta nella casa».[5]
Torniamo al Martinez de Pasqually. Per l’autore settecentesco “Boaz” è il nome del decimo figlio di Caino:
Caino era un grand’uomo di caccia, egli aveva ugualmente allevato tutti i suoi figli maschi alla caccia, e soprattutto il suo decimo figlio sul quale aveva posto tutto il suo attaccamento. Egli non diede a questo suo figlio altro talento che quello della caccia, essendo gli altri suoi figli più portati ai lavori d’immaginazione ed alle opere manuali. Caino diede a questo decimo figlio il nome di Boaz, o Booz, che vuol dire figlio d’uccisione.[6]
Il significato dato dal Martinez de Pasqually al nome Boaz non trova riscontro nella tradizione massonica che non sia di Rito Scozzese Rettificato. Inoltre, questo figlio di Caino non compare nelle Scritture, essendo Enoch l’unico figlio citato[7]. Questo, però, non cambia la profondità e il valore dottrinale delle tesi martineziste, che provengono da un filone iniziatico di grande spessore. Cerchiamo quindi di analizzare la cosa alla luce delle dottrine di tale filone.
Booz è il decimo figlio di Caino. Il dieci è numero divino, che indica il compimento della via. Il decimo figlio, quindi, è il compimento del destino e del tipo di Caino, ovvero il compimento della prevaricazione e della distruzione. Non a caso è lui a causare la fine di suo padre.
Sia Booz che Caino decidono di fare una battuta di caccia, l’uno all’insaputa dell’altro, nello stesso luogo:
Essi partirono dunque insieme per andare a caccia, ma Booz, senza saperlo, prese la stessa strada di suo padre Caino e, essendo tutti e due in un macchione che erano abituati a battere, Booz scorse l’ombra di una figura attraverso questo macchione chiamato Onam, che vuol dire dolore. Booz spiccò allora una freccia che andò a penetrare il cuore di suo padre, avendolo preso per una bestia feroce. Giudicate della sorpresa e del fremito di Booz, allorché fu sul posto dove aveva tirato il suo colpo di freccia e vide suo padre ucciso dalla sua propria mano. Il dolore di Booz fu tanto più grande in quanto sapeva la punizione e la minaccia che il Creatore aveva lanciato contro colui che avesse colpito la persona di Caino[8]. Sapeva che colui che avesse avuto questa sventura sarebbe stato colpito sette volte da pena mortale, o sarebbe stato punito sette volte di morte.[9]
Questi fatti hanno un’importanza particolare essendo essi del tipo della profezia:
Ciò che forma realmente il tipo di profezia, è che l’incontro delle due persone, Caino e Booz, non è premeditato e che l’uno e l’altro si sono trovati senza sapere, nel luogo in cui Caino ricevette il colpo mortale.[10]
Il più profondo valore simbolico del racconto martinezista è comprensibile solo alla luce del terzo grado e non lo affronteremo qui.
Mi limiterò a indicare nella figura di Booz il rischio che l’Iniziato corre nel suo lavoro. Se egli non resterà sulla retta via dello spirito, indulgendo nei vizi e lasciandosi dominare dalle passioni, non potrà che finire con l’incarnare il tipo del prevaricatore e lavorare alla sua stessa fine. Ricordiamo il discorso fatto in precedenza sulla Forza (o Fortezza) e il suo utilizzo. Booz è colui che usa la forza senza essere guidato dalle Virtù. In lui agiscono le passioni dell’intelletto demoniaco, le voci degli spiriti perversi che si sono resi colpevoli della prima prevaricazione. Non a caso egli è l’unico figlio ad avere il solo talento della caccia, espresso alla massima potenza, ovvero un talento violento e distruttivo. Egli lo usa in modo cieco, inconsapevole, e questo porta all’omicidio di suo padre. Se, infatti, agiamo senza consapevolezza, data dalla pratica delle Virtù e dal costante lavoro iniziatico, non possiamo prevedere le conseguenze e imboccheremo la strada contro-iniziatica che porta verso il basso, verso i vizi. In tal senso l’uccisione del padre rappresenta il distacco dallo Spirito, la colpa primordiale, o peccato originale, che ha gettato l’Uomo in questo mondo di materia, dove non gli è più dato di vedere Dio. Il compito dell’Iniziato è quello di sfuggire ai cicli distruttivi dell’intelletto demoniaco per ascendere e giungere alla Reintegrazione. Il Compagno in particolare deve lavorare facendo affidamento sulla Forza della Loggia e della Massoneria, ben meditando i simboli del suo grado e il loro senso, e tenendo sempre presente l’esempio di Booz, figlio di Caino, affinché gli sia di monito.
Enrico Proserpio
[1] Ruggiero Di Castiglione, Alle sorgenti della Massoneria, editrice Atanòr, 1988, pagina 155.
[2] Della costruzione del Tempio di Salomone si parla anche nel Primo Libro delle Cronache, capitolo 22, e nel Secondo Libro delle Cronache, capitolo 3.
[3] Primo Libro dei Re, capitolo 5, versetti 15 – 22, Bibbia di Gerusalemme, Edizioni Dehoniane Bologna, 2002.
[4] Non in tutti i Riti Boaz è Parola Sacra del secondo grado. In altri Riti (RSAA, Emulation…) essa è Parola Sacra del primo grado. In questa Tavola si segue la simbologia del Rito Scozzese Rettificato.
[5] Libro di Rut, capitolo 2, versetti 1 – 7, Bibbia di Gerusalemme, Edizioni Dehoniane Bologna, 2002.
[6] Jacques Martines de Pasqually, Trattato sulla reintegrazione degli esseri, edizioni Libreria Chiari FirenzeLibri S.R.L., 2003, pagina 99.
[7] Se ne parla in Genesi, capitolo 4, versi 17 – 18.
[8] Si veda Genesi, capitolo 4.
[9] Jacques Martines de Pasqually, Trattato sulla reintegrazione degli esseri, edizioni Libreria Chiari FirenzeLibri S.R.L., 2003, pagina 100.
[10] Jacques Martines de Pasqually, Trattato sulla reintegrazione degli esseri, edizioni Libreria Chiari FirenzeLibri S.R.L., 2003, pagina 101.
Bella la correlazione e lo studio.