Considerazioni sulla Giustizia

Una delle peculiarità del Rito Scozzese Rettificato è il collegamento tra i gradi e le Virtù Cardinali e Teologali. I primi quattro gradi, quelli prettamente massonici, si ricollegano alle Virtù Cardinali:

  • Apprendista: Giustizia
  • Compagno: Temperanza
  • Maestro: Prudenza
  • Maestro Scozzese di Sant’Andrea: Fortezza

Ci occuperemo qui della Giustizia, inerente al primo grado. Il riferimento a tale Virtù appare nel Rituale di Ricevimento[1], sia nell’arredamento del Tempio che nel testo. Nel Tempio saranno, infatti, posti due cartelli: uno all’Oriente, con la scritta “Giustizia” e l’altro all’Occidente, con la scritta “Clemenza”. Il Maestro Venerabile, inoltre, rivolge al nuovo Fratello, appena ricevuto in Loggia, delle spiegazioni inerenti il senso delle scritte sopra citate. Indicando il cartello all’Oriente egli spiega:

Le leggi della Giustizia sono eterne e immutabili. Colui che, essendo affranto dai sacrifici che essa esige, rifiuta di sottomettervisi, è un codardo che si disonora e si perde. Non esitate dunque mai Fratello mio, e siate giusto verso tutti gli uomini, senza consultare le vostre passioni, né i vostri interessi personali. Queste armi che vedete puntate contro di voi, non sono che una debole immagine dei rimorsi dei quali sarete preda se voi aveste la disgrazia di mancare di Giustizia e al vostro giuramento.

Facendo poi girare il Fratello, affinché veda il cartello all’Occidente, prosegue:

Fratello mio, se voi siete di animo giusto e sincero, non piangete affatto; la Clemenza tempera i rigori della Giustizia in favore di coloro che si sottomettono generosamente alle sue leggi. Usate dunque la moderazione con gli altri uomini quando essi si saranno resi colpevoli verso di voi.

Alla luce di questi brani possiamo fare alcune considerazioni. Tanto per cominciare risulta evidente che non si sta parlando della semplice giustizia profana, quella delle leggi dello stato e dei tribunali, che della vera Giustizia è il pallido riflesso (quando non un vero e proprio stravolgimento). Lo si può comprendere dall’accenno all’eternità e immutabilità delle leggi, il che le pone su un piano superiore a quello materiale che eterno e immutabile non è. Le leggi a cui si fa riferimento sono dunque quelle del mondo divino, quelle emanate dalla mente di Dio all’origine dei tempi. Da quei principi primi derivano le leggi del mondo materiale e le leggi dello Spirito.

Fu dalla prevaricazione, che altro non è che la disobbedienza alle leggi divine, che derivò il male, il quale non esisteva e che non discende dal Creatore. La prevaricazione, che ha fatto decadere dal loro primo stato di gloria gli spiriti perversi prima e Adamo poi, ha dato origine a una lotta interna all’umanità, alla “discendenza di Adamo” tra l’intelletto buono (proveniente da Dio) e l’intelletto cattivo (proveniente dagli spiriti perversi). In mezzo si trova l’uomo, che deve scegliere tra il seguire i dettami di Dio e lavorare alla propria reintegrazione e il cedere alla tentazione. Il male deriva proprio dalle suggestioni dell’intelletto cattivo e dalla scelta dell’uomo di metterle in atto. Così scrive il Martinez de Pasqually:

Si può vedere, in tutto ciò che ho detto, che l’origine del male non è venuta da alcun’altra causa se non dal cattivo pensiero seguito dalla volontà cattiva dello spirito contro le leggi divine, e non che lo spirito stesso emanato dal Creatore sia direttamente il male, perché la possibilità del male non è mai esistita nel Creatore. Esso nasce unicamente dalla sola disposizione e volontà della sua creatura. Coloro che parlano differentemente non parlano con cognizione di causa delle cose possibili ed impossibili alla Divinità. Allorché il Creatore castiga la sua creatura, gli si dà il nome di giusto, e non quello d’autore del flagello ch’egli lancia per preservare la sua creatura dal patimento infinito.[2]

Possiamo dire che la Giustizia, in senso esoterico del termine, è dunque la capacità di distinguere l’intelletto buono da quello cattivo. Essa è la prima virtù, necessaria a ogni percorso spirituale e a ogni realizzazione. Senza la capacità di distinguere, l’uomo è, infatti, preda di ogni suggestione, di ogni superstizione e di ogni perversione. Per questo la Giustizia è la virtù del primo grado, essendo essa la base necessaria a praticare tutte le altre.

Ma come può l’uomo distinguere ed essere certo di praticare la Giustizia? Nel suo stato di privazione il Minore non ha la visione chiara delle cose e può cadere nell’errore. Per tal motivo esistono le leggi morali ed etiche, leggi che il massone deve interiorizzare, cercando di comprenderne il senso profondo per costruirsi quegli strumenti necessari a comprendere e a distinguere. Ogni uomo dovrà lavorare su se stesso e fare il proprio percorso di comprensione, essendo la via di ognuno unica. Non ci dilungheremo qui sui principi morali, che da soli richiederebbero una lunga trattazione. Un accenno però ad alcuni punti è necessario.

Il primo punto è il dovere, per il massone, di comportarsi secondo giustizia, per quanto possibile. L’errore è comprensibile e, a volte, anche perdonabile. La malafede non lo è. In tal senso il Libero Murature non deve cercare scuse per le proprie debolezze o, peggio, non deve essere ipocrita. Il Lavoro di Loggia non ha senso se nel mondo profano i principi vengono abbandonati in nome dell’interesse immediato e personale. Il mondo profano non è una cosa distaccata da quello spirituale, ma ne costituisce la base e il terreno di prova. Senza coerenza nei principi non c’è elevazione. Se l’adesione ai principi della Giustizia è solo esteriore, di facciata, non si realizzerà nulla e si rimanderà la propria reintegrazione, poiché allo Spirito non sfugge nulla. Anche la Scrittura ci ricorda di diffidare degli ipocriti:

Nel frattempo, radunatesi migliaia di persone che si calpestavano a vicenda, Gesù cominciò a dire anzitutto ai discepoli: «Guardatevi dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia. Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. Pertanto ciò che avrete detto nelle tenebre, sarà udito in piena luce; e ciò che avrete detto all’orecchio nelle stanze più interne, sarà annunziato sui tetti. [ … ]»[3]

In tal senso è anche importante il non usare due pesi e due misure nei giudizi, poiché la Giustizia è una e non può essere differente a seconda delle convenienze. Anche qui la Scrittura è chiara:

In quel tempo diedi quest’ordine ai vostri giudici: Ascoltate le cause dei vostri fratelli e giudicate con giustizia le questioni che uno può avere con il fratello o con lo straniero che sta presso di lui. Nei vostri giudizi non avrete riguardi personali, darete ascolto al piccolo come al grande; non temerete alcun uomo, poiché il giudizio appartiene a Dio; le cause troppo difficili per voi le presenterete a me e io le ascolterò.[4]

E ancora:

Il doppio peso è in abominio al Signore

e le bilance false non sono un bene.[5]

In questo ultimo passo del Deuteronomio si incontrano anche altri aspetti molto interessanti: il fatto che il giudizio appartenga a Dio e l’esistenza di cause troppo difficili per l’uomo. Le due cose in realtà sono connesse. L’uomo è un essere limitato e come tale non può giudicare in modo certo. Solo Dio ha la possibilità di giudicare senza tema d’errore e, quindi, secondo vera Giustizia. Inoltre la natura umana, imperfetta e debole, induce l’uomo a errare. Non esiste un essere umano che non abbia mai compiuto atti ingiusti e non abbia mai compiuto qualcosa di male. Per questo il Rituale fa accenno anche alla Clemenza, che, da una parte, mitiga la durezza della Giustizia e, dall’altra, ci indica ciò che dobbiamo fare. Per quanto il nostro prossimo ci appaia colpevole, dobbiamo cercare di applicare la comprensione e la Clemenza, ricordandoci sempre della nostra fondamentale incapacità di conoscere e comprendere tutte le ragioni di ciò che vediamo. Per questo, anche nel momento in cui ci si trovi costretti ad agire contro qualcuno e ad applicare le leggi e le norme dell’Ordine o dello stato, lo si dovrà fare senza astio e nella giusta misura. Si dovrà stare attenti ad agire sulla base del buon intelletto che viene dall’alto e non sull’onda di bassi sentimenti di vendetta che sono suggeriti dal cattivo intelletto. Anche la vendetta, infatti, appartiene a Dio:

Non dire: «Voglio ricambiare il male»,

confida nel Signore ed egli ti libererà.[6]

Anche San Paolo scrive:

Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti. Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all’ira divina. Sta scritto infatti: A me la vendetta, sono io che ricambierò, dice il Signore.[7]

E continua suggerendo come comportarsi con chi compie atti ingiusti nei nostri confronti:

Al contrario, se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere: facendo questo, infatti, ammasserai carboni ardenti sopra il suo capo. Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male.[8]

Nostro compito è comportarci in modo giusto, è cercare di comprendere e conoscere le vie della Giustizia per seguirle. Applicare tali leggi su chi le viola e vendicare i torti sta invece a Dio, unico ad avere la possibilità di farlo agendo in modo retto e in piena coscienza e conoscenza.

Ovviamente questo non significa che l’uomo non debba mai contrastare chi agisce ingiustamente. Solo che il contrasto all’ingiustizia deve essere portato avanti nel modo opportuno, seguendo i dettami della Ragione, nel senso più elevato e spirituale del termine, e non seguendo la sete di vendetta, come già si sottolineava in precedenza. La legge umana, se creata con questo spirito, diviene quindi uno strumento utile per gestire le ingiustizie senza generarne delle altre. Anche qui, però, chi la applica deve sempre ricordare la Clemenza e la giusta misura, altrimenti la legge stessa rischia di trasformarsi nel male che cerca di combattere. Questo vale per le leggi degli stati, ma anche per la legge morale. Se ci si dimentica del cuore della Legge, ovvero della sua natura di strumento per evitare la prevaricazione e aiutare gli uomini a vivere rettamente, e la si erge a riferimento assoluto e indiscutibile, si finisce con l’adorare la Legge come nuovo Dio e con il compiere il male stesso in suo nome. Anche Cristo se la prende con chi svuota la Legge del suo contenuto vero e ne applica la lettera in modo pedissequo, rigido e intransigente per i propri interessi umani:

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci.

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e, ottenutolo, lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi.

Guai a voi, guide cieche, che dite: Se si giura per il tempio non vale, ma se si giura per l’oro del tempio si è obbligati. Stolti e ciechi: che cosa è più grande, l’oro o il tempio che rende sacro l’oro? E dite ancora: Se si giura per l’altare non vale, ma se si giura per l’offerta che vi sta sopra, si resta obbligati. Ciechi! Che cosa è più grande, l’offerta o l’altare che rende sacra l’offerta? Ebbene, chi giura per l’altare, giura per l’altare e per quanto vi sta sopra; e chi giura per il tempio, giura per il tempio e per Colui che l’abita. E chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi è assiso.

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell’aneto e del cumino, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto mentre all’interno sono pieni di rapina e d’intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l’interno del bicchiere, perché anche l’esterno diventi netto!

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all’esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. Così anche voi apparite giusti all’esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni di ipocrisia e d’iniquità.

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che innalzate i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti, e dite: Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non ci saremmo associati a loro per versare il sangue dei profeti; e così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli degli uccisori dei profeti. Ebbene, colmate la misura dei vostri padri![9]

Per concludere vorrei accennare al simbolismo che si riscontra nella lama numero VIII dei Tarocchi che della Giustizia prende il nome. Nel simbolismo di questa lama ritroviamo quanto detto in precedenza: la spada indica il potere della Giustizia, che deve essere però temperato dalla misura e dall’equità, rappresentate dalla bilancia. Inoltre la spada è verticale, puntata verso il cielo e non verso un ipotetico colpevole. Questo ci suggerisce che, come dice la Scrittura, il suo uso sia riservato a Dio. Oswald Wirth, nella sua opera sui Tarocchi, ci spiega l’importanza della Giustizia, che egli identifica con la Legge divina:

Senza di lei nulla può vivere, poiché gli esseri non esistono se non in virtù della legge alla quale sono sottomessi.[10]

E ci indica anche la connessione tra il simbolismo dei Tarocchi e quello massonico:

Per analogia con le colonne Jakin e Bohas del Tempio di Salomone, i pilastri del trono della Giustizia segnano i limiti della vita fisica: tra loro si estende il campo limitato dell’attività animatrice.[11]

Per il Wirth, inoltre, la Giustizia è anche equilibrio, armonia universale che, se rotta in qualche modo, si ristabilisce inesorabilmente:

Nella mano destra, la dea stringe, inoltre, una spada formidabile, che è la spada della fatalità, poiché nessuna violazione della legge rimane impunita. Non vi è vendetta: ma l’implacabile ristabilimento di ogni equilibrio infranto provoca prima o poi la reazione ineluttabile della Giustizia immanente, alla quale ci collega l’arcano VIII.

Ma lo strumento riparatore degli errori commessi è la Bilancia, le cui oscillazioni riportano l’equilibrio. Ogni azione, ogni sentimento, ogni desiderio influiscono sulla sua asta: ne derivano accumulazioni equivalenti che avranno ripercussioni fatali, in bene o in male. Le energie messe in gioco si capitalizzano; quelle che procedono da una bontà generosa arricchiscono l’anima, poiché colui che ama si rende degno di essere amato. Le simpatie sono più preziose di tutte le ricchezze materiali: nessuno è più povero dell’egoista che rifiuta di darsi psichicamente. Dobbiamo saper donare, per essere ricchi.[12]

Infine, facciamo notare che il numero VIII, che corrisponde alla lama della Giustizia, è, per Martinez de Pasqually, il numero dello “Spirito doppiamente forte appartenente al Cristo”. Che non sia una coincidenza appare evidente.

Enrico Proserpio

[1] Nel Rito Scozzese Rettificato non si parla di “Iniziazione” ma di “Ricevimento”. Essendo tale Rito di matrice cristiana, si ritiene che il recipiendario sia già stato introdotto sulla Via col Battesimo. Egli quindi è già “iniziato” e col Ricevimento in Loggia prosegue il suo percorso su un livello nuovo e più approfondito.

[2] Martinez de Pasqually, Trattato sulla reintegrazione degli esseri, edizioni Libreria Chiari FirenzeLibri S.R.L, 2003, pagina 38.

[3] Vangelo secondo Luca, capitolo 12, versetti 1 – 3, Bibbia di Gerusalemme, Edizioni Dehoniane Bologna, 2002.

[4] Deuteronomio, capitolo 1, versetti 16 – 17, Bibbia di Gerusalemme, Edizioni Dehoniane Bologna, 2002.

[5] Proverbi, capitolo 20, versetto 23, Bibbia di Gerusalemme, Edizioni Dehoniane Bologna, 2002.

[6] Proverbi, capitolo 20, versetto 22, Bibbia di Gerusalemme, Edizioni Dehoniane Bologna, 2002.

[7] Lettera ai Romani, capitolo 12, versetti 17 – 19, Bibbia di Gerusalemme, Edizioni Dehoniane Bologna, 2002.

[8] Lettera ai Romani, capitolo 12, versetti 20 – 21, Bibbia di Gerusalemme, Edizioni Dehoniane Bologna, 2002.

[9] Vangelo secondo Matteo, capitolo 23, versetti 13 – 32, Bibbia di Gerusalemme, Edizioni Dehoniane Bologna, 2002.

[10] Oswald Wirth, I Tarocchi, Edizioni Mediterranee, 2002, pagina 166.

[11] Oswald Wirth, I Tarocchi, Edizioni Mediterranee, 2002, pagina 166.

[12] Oswald Wirth, I Tarocchi, Edizioni Mediterranee, 2002, pagine 168 – 169. Corsivi originali.

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